Fegato

Il tumore del fegato

La Liver Unit
Il trapianto di fegato
Manuale informativo per i pazienti
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Il fegato

Il fegato, il più grande organo del corpo umano, pesa mediamente 1,5 Kg, ha forma triangolare ed è contenuto nella parte superiore destra dell’addome, protetto dalla gabbia toracica. È irrorato da due grossi vasi, l’arteria epatica e la vena porta; il sangue in uscita dall’organo defluisce attraverso le vene sovraepatiche nella vena cava inferiore, che si connette all’atrio destro del cuore.

Il fegato svolge una serie di funzioni metaboliche fondamentali per lo sviluppo e il mantenimento del nostro organismo. Tra le più importanti ricordiamo che il fegato: 

  • controlla il livello degli zuccheri nel sangue e la trasformazione (metabolismo) dei grassi (lipidi) e di moltissime proteine assorbite con la dieta;
  • produce e trasforma una grande varietà di proteine essenziali come l’albumina, le proteine che trasportano i farmaci e quelle che aiutano il sistema immunitario;
  • produce la bile che serve per l’assorbimento degli alimenti e per l’eliminazione di molte sostanze, comprese quelle contenute nei farmaci;
  • produce i fattori indispensabili nel processo di coagulazione del sangue; 
Fegato
  • ha una funzione detossificante cioè elimina tutte le scorie che arrivano con gli alimenti o che sono prodotte dalla loro degradazione;
  • produce i fattori fondamentali per la guarigione e la cicatrizzazione delle ferite;
  • produce alcuni ormoni e sostanze che regolano lo sviluppo e la funzione degli altri organi;
  • controlla il metabolismo del ferro, del rame ed altri elementi rari che svolgono importanti funzioni a livello cellulare.

In sintesi si può affermare che il fegato è una sorta di “centralina” metabolica fondamentale per la sopravvivenza di tutto il resto dell’organismo e per mantenerlo in buono stato di salute: rimuove le sostanze di scarto dal sangue, produce la bile e molti enzimi necessari alla digestione.

Tipi di tumore

Il tumore epatico è provocato dalla proliferazione incontrollata di cellule all’interno dell’organo. I tumori maligni primitivi del fegato possono originare dalle diverse cellule che compongono il tessuto epatico. La forma più comune è il carcinoma epatocellulare o epatocarcinoma (spesso abbreviato con la sigla HCC), che origina dagli epatociti, le cellule principali del fegato.

Forme molto più rare sono i tumori vascolari (emangioendoteliomi, angiosarcomi), quelli dello stroma (fibrosarcomi) e quelli delle cellule di derivazione linfatica (linfomi).

I tumori benigni del fegato sono relativamente comuni: il più frequente è l’angioma, seguito dall’iperplasia nodulare focale e dall’adenoma. Nella maggior parte dei casi sono asintomatici e vengono scoperti casualmente, ma se affiorano alla superficie del fegato possono essere a rischio di rottura in caso di traumi.

L’epatocarcinoma (HCC), il tumore maligno primitivo del fegato, è globalmente il quinto tumore per frequenza nei maschi e l’ottavo nelle donne. Insorge in oltre il 90% dei casi in pazienti affetti da una malattia cronica di fegato, di origine virale o non virale. La storia naturale del tumore epatico parte generalmente da un danno cronico del fegato di tipo infiammatorio (epatite, assunzione cronica di alcool o alterazioni metaboliche).

Le epatiti croniche possono poi evolvere fino alla cirrosi, formando dei noduli, inizialmente iperplastici (caratterizzati cioè da una proliferazione delle cellule epatiche senza particolari alterazioni) che possono progredire a noduli displastici (costituiti cioè da cellule alterate ma non ancora tumorali). I noduli displastici insorti su cirrosi possono progredire ulteriormente e diventare epatocarcinomi, neoplasie maligne in cui le cellule hanno perso ogni controllo sulla loro crescita e funzione.

Diagnosi

La diagnosi di HCC è effettuata nella maggior parte dei casi con tecniche radiologiche quali l’ecografia dell’addome e la TAC (tomografia assiale computerizzata) o la RMN (risonanza magnetica nucleare). In casi dubbi si può procedere con la biopsia epatica, più utilizzata per i tumori metastatici (o secondari) che per l’HCC. 

Fattori di rischio

L’HCC si sviluppa più frequentemente negli uomini dopo i 50 anni e nel contesto della cirrosi epatica. Si stima che più del 5% delle persone con cirrosi sviluppi un tumore del fegato. La formazione di un HCC in un fegato del tutto normale è assai rara e può essere associata a fattori tossici.

Evoluzione della malattia e prognosi

L’evoluzione dell’HCC è in genere progressiva e porta al graduale indebolimento delle funzioni epatiche. È interessante notare che, a differenza di altri tumori maligni, la diffusione extra-epatica dell’HCC con metastasi ad altri organi è abbastanza rara

Terapie

La scelta del trattamento a cui sottoporre un paziente con HCC dipende da molti fattori come l’estensione, le condizioni di salute, l’età, patologie associate, lo stadio di compenso dell’eventuale cirrosi e dalla disponibilità delle cure.

Dopo le terapie

Nei pazienti sottoposti a trattamento curativo i controlli periodici hanno lo scopo di identificare precocemente le recidive, in particolare quelle che possono ancora essere suscettibili di trattamento radicale, e di monitorare lo stato nutrizionale del paziente. 

Prevenzione e sintomi

Prevenzione

L’epatocarcinoma è considerato il quinto “big killer”, dopo polmone, colon-retto, mammella e pancreas. Una serie di cause (infezioni da virus epatitici B e C, abuso alcolico, malattie genetiche ed autoimmuni, diabete, obesità, etc.) possono indurre un danno persistente del fegato. In Italia, in più del 90% dei casi, l’epatocarcinoma si sviluppa in pazienti con cirrosi.

La prevenzione dell’epatocarcinoma si attua evitando i più comuni fattori di rischio: 

  • l’esposizione ai virus dell’epatite;
  • il consumo eccessivo di alcol;
  • abitudini che favoriscono il sovrappeso e l’obesità con alterazioni del metabolismo. 

Altra misura di prevenzione è la vaccinazione per l’epatite B, che in Italia è obbligatoria fin da bambini. Per quanto riguarda l’epatite C i farmaci antivirali di più recente sviluppo sono in grado di consentire una guarigione dall’infezione in oltre il 99 per cento dei casi. Chi è guarito dall’HCV mantiene tuttavia un rischio residuo di sviluppare l’epatocarcinoma (HCC), stimabile fra l’1 e 2% ogni anno.

L’epatite A, per la quale esiste un vaccino, genera un’epatite acuta che non tende a cronicizzare e non aumenta quindi il rischio di ammalarsi di tumore del fegato.

In caso di infezione cronica da virus B o C il paziente deve essere valutato da centri con adeguata esperienza per controllare l’infezione virale con farmaci adeguati, e ridurre il rischio di sviluppare un tumore. Nei casi in cui ci sia cirrosi, si imposta un programma di controlli con esami ematici per dosare il marcatore tumorale specifico per l’epatocarcinoma, l’alfafetoproteina (AFP), oltre ad ecografie periodiche per individuare precocemente l’insorgenza di formazioni neoplastiche.

Sintomi

La fase iniziale di sviluppo del tumore è asintomatica; per questo motivo i pazienti con epatocarcinoma sono inconsapevoli della sua presenza finché il tumore non ha raggiunto uno stadio avanzato. Per questo sono molto importanti i controlli periodici in pazienti con epatopatia per consentire la diagnosi precoce di tumore epatico.

Nelle fasi avanzate, e meno curabili, si possono manifestare sintomi evidenti come:

  • dolore al fianco destro; 
  • perdita di peso; 
  • stanchezza; 
  • masse palpabili nella regione superiore destra dell’addome. 

La comparsa di ittero (la colorazione giallastra della cute e degli occhi) e ascite (versamento liquido nella cavità addominale) sono in genere espressioni di scompenso epatico, oltre che di progressione severa della malattia. Il dolore alle ossa può essere correlato alla comparsa di metastasi in tale sede, così come la tosse che non passa e la difficoltà respiratoria sono segnali di possibile diffusione del tumore ai polmoni. 

Diagnosi

La diagnosi di HCC è effettuata nella maggior parte dei casi con tecniche radiologiche quali l’ecografia dell’addome e la TAC (tomografia assiale computerizzata) o la RMN (risonanza magnetica nucleare). In casi dubbi si può procedere con la biopsia epatica, più utilizzata per i tumori metastatici (o secondari) che per l’HCC. 

Queste tecniche permettono di: 

  • individuare la lesione;
  • valutare le caratteristiche del nodulo tumorale;
  • stadiare il tumore (cioè valutare il numero e le dimensioni dei noduli tumorali, la loro sede all’interno del fegato e la loro eventuale diffusione in altre sedi dell’organismo).

Le alterazioni più comuni che si evidenziano agli esami del sangue e che suggeriscono una malattia del fegato sono:

  • l’incremento delle transaminasi; 
  • l’aumento della bilirubina; 
  • la comparsa di elevati livelli di alfa-fetoproteina (AFP), lo specifico marcatore tumorale.

Tuttavia, bisogna ricordare che il solo marcatore tumorale alterato non basta a porre una diagnosi di tumore, perché esso non viene espresso da tutti gli epatocarcinomi ed esiste anche  la probabilità di trovarne livelli elevati in condizioni non tumorali. L’alterazione dei valori dell’AFP deve essere sempre interpretata con cautela da specialisti del settore.

Fattori di rischio

L’HCC si sviluppa più frequentemente negli uomini dopo i 50 anni e nel contesto della cirrosi epatica. Si stima che più del 5% delle persone con cirrosi sviluppi un tumore del fegato. 

Le condizioni che portano più frequentemente alla cirrosi sono:

  • le infezioni croniche da virus dell’epatite B e C, che si trasmettono attraverso il sangue o i rapporti sessuali o dalla madre al figlio durante la gravidanza;
  • l’abuso di alcol. 

Anche le epatopatie croniche non-alcoliche causate da problemi di metabolismo e di stili di vita non appropriati (pazienti sovrappeso o obesi, con scarsa propensione all’esercizio fisico, con alti valori di colesterolo, presenza di diabete, ipertensione, cardiopatia etc.) sono frequentemente implicate nello sviluppo di steatoepatiti, fibrosi, cirrosi che possono degenerare in HCC. 

La formazione di un HCC in un fegato del tutto normale è assai rara e può essere associata a fattori tossici quali: 

  • contaminanti ambientali come cloruro di vinile; 
  • sostanze radioattive; 
  • aflatossine (contaminanti alimentari che si sviluppano in alcuni tipi di muffa); 
  • abuso di farmaci come gli anabolizzanti. 

In questi casi la neoplasia si può presentare in età meno avanzata rispetto all’HCC su cirrosi. 

Il fumo, noto agente cancerogeno, incrementa il rischio di tumore, come anche le malattie metaboliche su base genetica (es. l’emocromatosi cioè accumulo di ferro nel fegato), il morbo di Wilson (accumulo di rame), il deficit di alfa1-antitripsina, la tirosinemia di tipo 1 e le glicogenosi (accumulo anomalo di glicogeno). Da ultimo sono fattori di rischio alcune malattie a genesi autoimmune come la colangite primitiva sclerosante e la cirrosi biliare primitiva oppure il deficit di alcuni enzimi come l’alfa-1-antritripsina o la tirosina.

Evoluzione della malattia e prognosi

L’evoluzione dell’HCC è in genere progressiva e porta al graduale indebolimento delle funzioni epatiche. È interessante notare che, a differenza di altri tumori maligni, la diffusione extra-epatica dell’HCC con metastasi ad altri organi è abbastanza rara. Quando avviene, le sedi interessate più frequentemente sono il polmone, le ossa e le ghiandole surrenali.

Altra sede relativamente comune di diffusione metastatica dell’HCC sono i linfonodi addominali, che spesso risultano ingranditi anche in soggetti con una lunga storia di epatiti croniche. In questi pazienti, l’ingrossamento dei linfonodi all’ilo epatico rilevato con una TAC o una RMN non equivale a certezza di metastasi.

La diagnosi precoce dell’HCC era piuttosto infrequente fino ad una ventina di anni fa. Attualmente, grazie alle politiche di sorveglianza nelle popolazioni a rischio di cirrosi, e quindi di tumore, la prospettiva terapeutica dei pazienti con HCC è migliorata di molto e in almeno il 30-40% della popolazione l’HCC viene diagnosticato allo stadio iniziale, con possibilità di trattamenti radicali e definitivi.

Terapie

La scelta del trattamento a cui sottoporre un paziente con HCC dipende:

  • dall’estensione del tumore (dimensioni, numero di noduli, sede del tumore rispetto alle strutture nobili del fegato come i vasi sanguigni o le vie biliari);
  • dalle condizioni di salute generali; 
  • dall’età del paziente;
  • dalla presenza di patologie associate; 
  • dallo stadio di compenso della eventuale cirrosi o epatopatia cronica (classificato sulla base dei punteggi Child-Pugh o MELD) presente;
  • dalla disponibilità di tutte le cure potenzialmente proponibili nel Centro a cui ci si rivolge. 

Le principali soluzioni di trattamento oggi disponibili per l’HCC sono le seguenti:

  • Resezione epatica (asportazione chirurgica del tumore)
  • Trapianto di fegato
  • Terapie loco-regionali di radiologia interventistica
    • Termoablazione
    • Alcolizzazione
    • Chemioembolizzazione transarteriosa (TACE)
    • Radioembolizzazione transarteriosa (TARE o SIRT: radioterapia interna selettiva)
  • Terapie farmacologiche

Resezione epatica (asportazione chirurgica del tumore)

Rappresentazione schematica delle principali forme di resezione epatica
Fonte: sito della Johns Hopkins Medicine 

L’intervento chirurgico è il trattamento di scelta per l’HCC in stadio precoce. Il paziente con HCC è in prima istanza valutato per un trattamento chirurgico di resezione (asportazione di parte del fegato in cui è localizzato il nodulo). In genere è possibile eseguire l’intervento in pazienti di tutte le età e può essere effettuato sia con tecniche tradizionali di chirurgia “aperta” che con le più moderne tecniche di chirurgia “laparoscopica” o robotica, che danno vantaggi in termini di ridotta invasività e di più rapido recupero post-operatorio.

La scelta sul tipo di intervento va fatta da chirurghi esperti, in grado di eseguire entrambe le tecniche, adattandole alle condizioni del tumore e del paziente. La resezione epatica può essere eseguita anche in prospettiva di un possibile successivo trapianto, oppure al termine di cure non-chirurgiche che abbiano permesso la riduzione del volume iniziale del tumore  e/o un suo migliore isolamento tecnico.

La rimozione di parte del fegato con un intervento di resezione viene in genere ben tollerata, a patto che la quantità di fegato asportata non sia eccessiva, ovvero non sia superiore al 40% del volume totale del fegato. Il principale rischio correlato all’intervento è infatti l’insufficienza epatica del fegato residuo. Il volume epatico necessario a mantenere i pazienti con HCC in buona salute è calcolato con precisione nei Centri di cura di alto livello tecnico, dove ogni aspetto del paziente, del suo tumore e del fegato su cui si esegue l’intervento viene soppesato prendendo in esame tutte le opzioni di cura disponibili.
Sono controindicazioni all’intervento chirurgico di resezione:

  • lo scompenso cirrotico severo; 
  • la presenza di ipertensione portale con varici esofagee e severa piastrinopenia; 
  • la presenza di metastasi in altre sedi.

Il trapianto di fegato

Il trapianto di fegato rappresenta il trattamento principale per pazienti affetti da HCC non resecabile, ed in molti casi anche per quello resecabile, se sussistono condizioni di peggioramento della funzione epatica associata al tumore, in ragione della cirrosi concomitante.

Il trapianto di fegato è la terapia più “radicale” in assoluto contro l’HCC in quanto permette l’asportazione contemporanea sia della malattia tumorale che della cirrosi epatica sottostante, ovvero del principale fattore di rischio che potrebbe favorire lo sviluppo di un nuovo tumore o di una recidiva successiva ai trattamenti descritti più sopra. Il trapianto di fegato è l’unico trapianto di organi solidi autorizzato per la cura di un tumore; l’indicazione a trapianto per HCC si è andata sempre più affermando negli anni e attualmente in Italia poco meno della metà del totale dei trapianti di fegato sono eseguiti per curare questo tumore.

Terapie loco-regionali

Nei casi in cui l’intervento chirurgico di resezione del tumore non sia indicato o non sia tecnicamente eseguibile, esiste la possibilità di ricorrere a trattamenti loco-regionali (ovvero non strettamente chirurgici), finalizzati comunque alla distruzione del tumore che viene lasciato nella sede dove è originato.

La sede di localizzazione del tumore epatico può essere distrutta (ablata) con mezzi fisici come il calore, o con agenti embolizzanti in grado di bloccarne l’accesso di sangue, oppure per mezzo di radiazioni ionizzanti veicolate da microsfere coperte di isotopi radio-emittenti.

  • L’azione del calore, che grazie ad appositi aghi inseriti all’interno del tumore è in grado di “bruciare” il nodulo di HCC, è denominata termoablazione.
  • La terapia che riduce l’apporto di sangue al tumore mediante agenti embolizzanti combinati con farmaci chemioterapici è denominata chemioembolizzazione trans-arteriosa (abbreviata con la sigla TACE).
  • La terapia che veicola isotopi radioattivi per portare radiazioni ionizzanti al tumore per via intra-arteriosa si definisce radioembolizzazione (abbreviata in TARE o SIRT).


La scelta fra questi trattamenti dipende non soltanto dal numero e dalle dimensioni dei noduli di HCC, ma anche dalla severità della malattia epatica concomitante e dalle condizioni cliniche generali del paziente, e la probabilità di successo dipende dalla precocità della diagnosi di HCC, che spesso invece si trova in uno stadio che non consente di essere affrontato con la chirurgia.

Le terapie loco-regionali possono essere controindicate in caso di tumori molto avanzati, e non sono proponibili quando sono presenti le complicanze della cirrosi epatica come l’ascite, l’encefalopatia porto-sistemica o l’ittero. 

Termoablazione

La termoablazione può esser eseguita sia dall’esterno (per via percutanea) con aghi che passando attraverso la cute del paziente vengono inseriti, sotto guida ecografica, fino a raggiungere la sede del tumore nel fegato, sia internamente durante interventi chirurgici in genere condotti per via mini-invasiva (laparoscopica).

Questa terapia è utilizzata in caso di tumori in fase precoce, o di piccole dimensioni, insorti in pazienti candidati a trapianto oppure con condizioni che controindicano l’intervento chirurgico di resezione (ad esempio per un compenso epatico non ottimale, per la presenza di co-morbidità significative o perchè non possono essere sottoposti ad anestesia generale).

Dal punto di vista tecnico, la termoablazione si basa sull’uso del calore generato da aghi speciali in grado di veicolare in alcune loro parti energia elettrica sotto forma di radiofrequenze o di microonde. La massa tumorale deve essere “infilzata” da tali aghi o “uncinata” ad essi e quindi “ablata” dal calore che, sotto il controllo di apposite apparecchiature, si espande attorno all’ago stesso, creando una sorta di “sfera di calore” in corrispondenza del nodulo di tumore, le cui cellule vengono così distrutte in pochi minuti da temperature attorno ai 100°C.

L’intervento di termoablazione percutanea dei tumori del fegato viene eseguito in anestesia locale con la possibile aggiunta di una sedazione. In ragione della sua minore complessità rispetto all’approccio chirurgico tradizionale, la termoablazione percutanea dei tumori del fegato è associata a minori rischi di complicanze severe. Questa tecnica è spesso utilizzata nei pazienti candidati a trapianto per HCC, per tenere “sotto controllo” la crescita dei noduli tumorali durante l’attesa del trapianto.

Chemioembolizzazione trans-arteriosa (TACE)

L’embolizzazione trans-arteriosa dell’HCC è una procedura condotta dall’interno dei vasi sanguigni, incannulando l’arteria che veicola il sangue al fegato (arteria epatica). Per mezzo di un catetere speciale è così possibile iniettare nel tumore agenti chemioterapici, con azione antitumorale, ed embolizzanti, cioè sostanze in grado di bloccare (embolizzare) l’accesso di sangue al tumore e quindi di nutrimento ed ossigeno.

La TACE è una procedura non-chirurgica eseguita nelle sale radiologiche. Nel dettaglio essa consiste nella puntura in anestesia locale di un vaso arterioso all’inguine per inserire un catetere molto sottile e flessibile che viene guidato sino all’arteria epatica ed ai suoi rami più lontani (embolizzazione selettiva o ultraselettiva). Attraverso questo catetere il radiologo interventista controlla l’iniezione degli embolizzanti e l’avvenuto blocco del flusso di sangue al tumore.

Come tutti i tessuti viventi, le neoplasie hanno bisogno di continuo afflusso di sangue; con l’embolizzazione il tessuto tumorale diventa prima ischemico e poi necrotico. Alle sostanze embolizzanti si aggiungono generalmente in combinazione farmaci chemioterapici, che rimangono nella regione del tumore per settimane e potenziano l’effetto della sola embolizzazione. Utile ricordare che l’uso dei chemioterapici nella TACE non provoca, se non raramente, gli effetti collaterali tipici della chemioterapia sistemica (es. perdita dei capelli, nausea, etc.) e ciò perché la maggior parte dei farmaci iniettati è localizzata nella sede del tumore, senza un significativo passaggio nel circolo sistemico. 

La TACE è indicata per gli HCC in stadio “intermedio” cioè quando il tumore si presenta con diversi noduli all’interno del fegato, ma senza l’interessamento dei grossi vasi sanguigni, situazione tipica dei casi avanzati e in pazienti con una cirrosi ancora in buon compenso. Tali trattamenti possono anche essere applicati ai soggetti in attesa di trapianto e nelle fasi pre-chirurgiche. 

Radioembolizzazione trans-arteriosa (TARE o SIRT: radioterapia interna selettiva)

Un trattamento simile alla chemioembolizzazione nel metodo, ma molto diverso nei meccanismi di azione sul tumore è chiamata radioembolizzazione transarteriosa (TARE), anche definita come SIRT (selective intra-arterial radiotherapy).

Si tratta anche in questo caso di una procedura endovascolare eseguita con lo stesso meccanismo della chemioembolizzazione, ovvero pungendo un’arteria (in genere la femorale) e introducendo un microcatetere in grado di risalire attraverso l’aorta ai vasi arteriosi che arrivano al fegato e nutrono il tumore. Anzichè basarsi sull’effetto combinato di embolizzazione/ischemia e chemioterapia la radioembolizzazione esegue una radioterapia all’interno del fegato.

L’intero trattamento comprende due procedure ad intervallo solitamente di 1-2 settimane. La prima procedura è di fatto una simulazione del trattamento vero e proprio che avviene nella seconda seduta: serve a valutare l’anatomia dell’apporto arterioso al fegato, a ottimizzare le condizioni delle arterie che dovranno veicolare il trattamento evitandone effetti collaterali e a misurare la dose radioterapica che può “uscire” dal fegato e contaminare altri organi, soprattutto i polmoni.

Questa misurazione, effettuata con uno scanner in dotazione dei reparti di Medicina Nucleare, permette di escludere dalla radioembolizzazione quei pazienti in cui si evidenzi un significativo passaggio di materiale radioattivo nei polmoni, che potrebbe essere associato ad un rischio troppo alto di danno polmonare da radiazioni. La seconda procedura è la vera terapia contro il tumore dove viene iniettata attraverso il microcatetere arterioso la dose terapeutica di particelle radioattive, cioè microsfere caricate con molecole di un elemento instabile, l’Ittrio,  che nel recupero della sua stabilità naturale rilascia radiazioni nel raggio di pochi millimetri attorno ad ogni microsfera iniettata. Come nel caso della TACE, l’effetto della terapia radiante intra-arteriosa viene valutato a distanza di un mese e mezzo circa dalla procedura, sulla base di una nuova TAC o RMN confrontata con quella pre-trattamento.

Oltre che per gli HCC in stadio “intermedio”, la TARE è un’ottima opzione terapeutica anche nei pazienti in cui il tumore abbia invaso i grossi vasi sanguigni (ad esempio in presenza di trombosi portale), purché la cirrosi sia in buon compenso.

Le terapie farmacologiche

Negli stadi più avanzati dell’HCC, non suscettibili di terapie curative (resezione epatica, trapianto di fegato o termoablazione) né di terapie loco-regionali (TACE o TARE) la terapia di scelta è quella che impiega farmaci sistemici, cioè in grado di entrare nel sangue e diffondersi in tutto l’organismo. La definizione di “stadio avanzato dell’HCC” si riferisce alla presenza di un coinvolgimento tumorale (trombosi neoplastica) di un grosso vaso del fegato (solitamente un ramo della vena porta) o alla disseminazione extra-epatica di malattia (ad esempio ai linfonodi o con metastasi ai polmoni o alle ossa), pur in presenza di una buona funzione epatica.

I farmaci disponibili per l’HCC sono terapie mirate su bersagli molecolari, cioè farmaci intelligenti che mirano alla distruzione selettiva delle cellule tumorali e che non sono quindi associati agli effetti collaterali tipici delle chemioterapie tradizionali; possono tuttavia causare spesso una serie di sintomi che è necessario conoscere e saper cogliere sul nascere per evitare deterioramenti della qualità della vita e della funzione del fegato tali da portare alla sospensione definitiva della cura.

Come per gli altri tipi di terapia descritti nei paragrafi precedenti, la concomitante presenza della cirrosi in poco più del 90% dei casi di HCC rende difficile e a volte pericolosa l’applicabilità degli schemi classici di chemioterapia del passato, condizione resa ancora più complessa da una intrinseca caratteristica dell’HCC: la resistenza ai farmaci (multi-drug resistance) compresi molti chemioterapici (chemoresistenza). L’introduzione nella pratica clinica di nuove categorie di farmaci (inibitori multichinasici e immunoterapia) ha avvicinato per la prima volta l’HCC al mondo delle terapie farmacologiche, stimolando la ricerca scientifica ad esplorarne l’utilizzo come monoterapie o in modalità combinata.

Dopo le terapie

Nei pazienti sottoposti a trattamento curativo i controlli periodici hanno lo scopo di identificare precocemente le recidive, in particolare quelle che possono ancora essere suscettibili di trattamento radicale, e di monitorare lo stato nutrizionale del paziente. I controlli includono un esame clinico, comprensivo di peso corporeo, esami ematochimici, biomarcatori tumorali ed esami strumentali con periodicità stabilita dal curante in base allo stadio di malattia, dei trattamenti eseguiti e dell’eventuale sintomatologia del paziente.

Nella malattia avanzata, l’attivazione precoce delle cure simultanee permette una gestione multidimensionale e multidisciplinare (tra oncologo, epatologo, nutrizionista, palliativista e psicologo), per la gestione dei sintomi e l’individuazione dei bisogni del paziente e della famiglia in un’ottica di continuum terapeutico nei vari setting assistenziali (ambulatorio, day-hospital o reparti di degenza, hospice e cure palliative domiciliari) e nelle varie fasi evolutive della malattia.

La ricerca…

Molto dell’interesse oncologico in tema di trattamento con farmaci nei pazienti con HCC è rivolto all’immunoterapia, una modalità di trattamento antitumorale focalizzata non alla distruzione diretta delle cellule tumorali ma all’attivazione del sistema immunitario del paziente contro il tumore stesso. Gli immunoterapici sono potenzialmente molto più efficaci dei farmaci tradizionali, anche se è difficile al momento prevedere in quali casi si osservi una risposta sul tumore. 

Questi farmaci hanno comunque il vantaggio di causare effetti collaterali molto lievi in paragone ai farmaci attualmente in uso, anche se è possibile osservare in alcuni casi la formazione di anticorpi attivi contro differenti organi del corpo umano (tossicità immuno-mediata) che, pur raramente, possono causare effetti anche gravi. Per tali motivi, l’utilizzo degli immunoterapici è assolutamente vietato in pazienti che già soffrono di patologie autoimmuni o in terapia con immunosoppressori, le quali rischierebbero di peggiorare significativamente in corso di terapia.

L’immunoterapia è al momento in fase di esplorazione e studio anche come ausilio ai trattamenti degli stadi più precoci del tumore epatico (es. trattamenti loco-regionali o chirurgici) per capire se possa contribuire al miglioramento dei risultati di questi ultimi. Se solo pochi anni fa la terapia sistemica equivaleva a poco più che un palliativo, oggi essa ha sicuri effetti positivi dimostrati dal prolungamento della sopravvivenza nei pazienti con tumore avanzato.

L’immunoterapia potrà forse permetterci di raggiungere risposte anti-tumorali talmente soddisfacenti da poter pensare di essere impiegata in prima linea anche nelle fasi iniziali dell’HCC, per favorire e migliorare i risultati delle cure radicali (chirurgiche e loco-regionali) impiegate nei vari stadi del tumore.

Studi recenti hanno dimostrato l’efficacia dell’immunoterapia (atezolizumab) combinata con altre terapie mirate, in particolare con farmaci anti-antiogenici (che inibiscono la formazione dei vasi ad opera del tumore), come il bevacizumab.  

Vi sono evidenze che il rilascio in circolo di materiale tumorale in seguito alla necrosi indotta dai trattamenti locoregionali stimoli la risposta immunitaria contro il tumore.

Studi in corso definiranno il ruolo di strategie di combinazione di TACE, atezolizumab e bevacizumab nel potenziare l’effetto anti-tumorale in modo sinergico, amplificando tassi ed entità delle risposte terapeutiche.


…continua

Altri studi riguardano il microambiente tumorale e le popolazioni di cellule immunitarie presenti nel sangue al fine di identificare le condizioni biologiche, potenziabili attraverso i farmaci, alla base della risposta immunitaria contro il tumore. Di particolare interesse è l’utilizzo di questi farmaci nella popolazione dei pazienti trapiantati, sottoposti cronicamente a terapia immunosoppressiva.

Al centro delle ricerche sono anche i meccanismi e le caratteristiche degli HCC nei pazienti affetti da steatoepatite e sindrome metabolica, in costante incremento, in parallelo al diminuire dei tumori insorti nel contesto delle epatiti virali, sempre più curabili con i nuovi farmaci antivirali.

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La Liver Unit dell’Istituto dei Tumori di Milano e l’approccio multidisciplinare alla diagnosi e cura delle neoplasie del fegato

Fegato

Liver Unit

Al paziente che si rivolge all’Istituto Nazionale dei Tumori è possibile offrire tutti trattamenti dei tumori epatici, sia benigni che maligni, attualmente disponibili. L’Istituto dei Tumori di Milano è l’unico Centro italiano dedicato all’oncologia in cui si può praticare il trapianto di fegato per la cura sia delle neoplasie primitive (originate nel fegato) che secondarie (metastasi di altri tumori dell’apparato digerente che sono arrivate al fegato da sedi di origine diverse).

Il trapianto di fegato praticato nella Liver Unit dell’Istituto Nazionale dei Tumori è l’unico trapianto di organi solidi accettato nel mondo per la cura di un tumore. Le linee di lavoro per la cura delle neoplasie epatiche per tramite del trapianto, sono alla base della prima descrizione dei “Criteri di Milano”. Ad essi sono seguite successive versioni di strategia di cura delle neoplasie di altri organi appunto descritte in forma di “criteri” ovvero di linee di lavoro guidate dalla razionalità scientifica e dall’impegno a servire individualmente le persone affette da tumore e potenzialmente curabili con procedure di chirurgia e medicina oncologica.

La Liver Unit è costituita da un gruppo di professionisti di varia origine.
Alcuni di essi hanno una competenza diretta nelle varie terapie o procedure da applicare nei diversi pazienti, mentre altri professionisti hanno competenze tecniche specifiche indispensabili ad alcuni passaggi di diagnosi e di terapia.

Per tramite di discussioni collegiali sui pazienti con tumore del Fegato afferenti all’Istituto dei Tumori, nella “Liver Unit” vengono decisi i migliori trattamenti disponibili nella specifica situazione di ogni paziente, sia essa determinata dalla situazione di presentazione del tumore che in ragione delle condizioni del paziente stesso, dello stadio della malattia epatica sottostante, delle co-morbidità e della necessità di preservare la migliore qualità e quantità di vita. Ogni strategia decisa nella Liver Unit viene discussa e valutata assieme al/alla paziente e ai suoi famigliari o amici in una logica di informazione e di attenzione alle esigenze e alle aspettative di ciascuno.

Fanno stabilmente parte della Liver Unit dell’Istituto dei Tumori di Milano:

– il chirurgo esperto in interventi sul fegato, vie biliari e ricostruzioni vascolari, nonché di trapianti di fegato. La competenza chirurgica dei componenti della Liver Unit comprende sia gli interventi eseguiti con tecniche mini-invasive video-assisted laparoscopiche, che le operazioni tradizionali (open). La scelta sulla tecnica chirurgica da impiegare dipende sia dalle condizioni del paziente che da quelle della neoplasia, oltre che dalla praticabilità delle varie tecniche, sempre considerando come prioritario il perseguimento di una chirurgia radicale, ovvero in grado di asportare completamente il tumore e mai dimenticando l’esigenza di garantire al paziente il minor trauma possibile;

– l’epatologo, medico esperto nella terapia medica della cirrosi e delle sue complicanze, nei trattamenti anti-virali per le epatiti croniche su base infettiva, e sui trattamenti farmacologici mirati per il tumore del fegato. Gli epatologi della Liver Unit hanno competenza specifica sulle patologie metaboliche del fegato e sulle condizioni cliniche che possono alterarne la funzione. Con questi specialisti vengono discusse le alternative di trattamento alla luce della riserva funzionale del fegato, che è diversa nei vari pazienti e nelle varie condizioni di malattia. Specifica competenza epatologica è richiesta anche nella gestione delle terapie loco-regionali e delle terapie farmacologiche sempre più utilizzate nel trattamento dei tumori, con particolare riferimento alla immunoterapia in combinazione con vari tipi di farmaci a bersaglio molecolare;

– il radiologo interventista è figura essenziale nella interpretazione delle immagini raccolte dalle varie indagini digitali (TAC, RMN, PET, ecografia etc.) e nell’esecuzione di trattamenti interventistici, sia per tramite di trattamenti attraverso l’albero arterioso del fegato (ad esempio la chemoembolizzazione: TACE o la radioembolizzazione TARE o SIRT), che con un accesso diretto al tumore (termoablazione). L’apporto della radiologia interventistica è inoltre essenziale nella gestione delle procedure di ausilio alla rigenerazione epatica (embolizzazione portale) e nel corretto trattamento delle complicanze degli interventi maggiori;

– l’oncologo medico è sempre più necessario nella gestione delle neoplasie epatiche, soprattutto in quelle di tipo biliare e nelle metastasi. Il numero di trattamenti farmacologici per la terapia di questi tumori è in progressiva crescita così come la selezione dei trattamenti mirati sulle caratteristiche delle cellule del tumore e del micro-ambiente che le circondano;

– l’anatomo-patologo è essenziale nella analisi specifica dei campioni da biopsia e da prelievo intra-operatorio. Oltre alla istologia tradizionale l’anatomia patologica si fa carico delle analisi molecolari specifiche sul tumore e finalizza la diagnosi ed interpretazione di biopsie eseguite su pazienti sottoposti a trapianto o con patologie non-oncologiche concomitanti, portatori di lesioni focali del fegato;

– l’endoscopista che ha competenze cruciali in procedure di correzione dei problemi associati al tumore ed è esperto nei trattamenti endoscopici correlati alla ipertensione portale e alle possibili complicanze della cirrosi, delle resezioni epatiche e del trapianto mediante l’ERCP (abbreviazione di colangio-pancreatografia retrograda endoscopica);

– l’anestesista e il rianimatore con specifiche competenze di gestione intraoperatoria e di terapia intensiva sono cruciali nella gestione dei pazienti con co-morbilità importanti da sottoporre a procedure impegnative sia di tipo chirurgico, che interventistico e farmacologico;

– il cardiologo, il diabetologo, il nutrizionista ed il neurologo sono esperti nella gestione di problemi specifici di pazienti o di presentazioni di malattia, a cui si associano co-morbilità, coinvolgenti altri apparati oltre a quello digerente;

– lo psicologo è molto spesso coinvolto nella gestione del supporto alle varie terapie e di grande aiuto nelle strategie di coinvolgimento delle famiglie nei vari passaggi di cura, anche in rapporto con le professionalità presenti sul territorio;

– il medico di laboratorio e il medico con competenze emotrasfusionali contribuiscono con competenze specifiche alla analisi dei campioni raccolti dai vari liquidi corporei, alla ricerca di parametri specifici sia per protocolli clinici che sperimentali, al supporto trasfusionale così frequente in persone affette da patologie croniche del fegato.

La gestione e la esecuzione delle varie terapie per le neoplasie del fegato primitive e secondarie devono essere affrontate in Centri ad alto volume e grande esperienza come quello attivo nella Liver Unit dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano dove si mettono a disposizione dei pazienti tutti i possibili trattamenti chirurgici (incluso il trapianto), locoregionali e farmacologici possibilmente utilizzabili.

Le strategie di retrostadiazione (downstaging) cioè di conversione della malattia dagli stadi più avanzati a quelli più precoci per effetto dei trattamenti effettuati, impone una continua rivalutazione dei pazienti per definire in ogni momento il trattamento in grado di garantire il maggior beneficio. Una valutazione attenta anche alle problematiche della malattia epatica di base deve essere continuamente presente, per poter massimizzare il numero di pazienti che possono accedere a trattamenti davvero curativi, quindi in grado di migliorare significativamente la sopravvivenza delle persone affette.

Le varie strategie di diagnosi e cura del tumore del fegato sono raggruppate all’interno della Liver Unit in alcune fondamentali aree di lavoro così riassumibili:

– l’area chirurgica: essa è costituita dal trapianto di fegato che resta il trattamento più efficace, in grado di rimuovere sia il tumore sia la malattia epatica sulla quale esso si sviluppa. Non tutti i pazienti possono però accedere a tale trattamento e per molti invece la chirurgia resettiva costituisce una valida alternativa. Essa si avvale di interventi sempre più precisi e attenti a rimuovere il tumore in modo radicale preservando quanto più possibile il fegato sano, minimizzando l’impatto anche grazie alle tecniche mini-invasive (laparoscopia);

– i trattamenti locoregionali, attuabili sia nei pazienti che non possono accedere a terapie curative sia a scopo di controllo del tumore e della sua riduzione di estensione e volume (downstaging) nell’ambito di strategie sequenziali che permettono di applicare linee diverse di trattamento a tempi diversi e a stadi diversi di neoplasia;

– la terapia farmacologica ed epatologica si avvale di farmaci sempre più attivi contro il tumore. I trattamenti di combinazione di diversi farmaci e/o di associazione a terapie loco regionali incrementano le risposte e rendono queste terapie efficaci anche in fasi meno avanzate della malattia. L’area medica epato-farmacologica si occupa anche di terapie anti-virali per il controllo della malattia epatica di base, della immunosoppressione nei pazienti trapiantati e delle terapie di controllo delle problematiche metaboliche, non escludendo l’alcool e le altre forme di abuso;

– le terapie nutrizionali e di supporto per ottimizzare l’apporto calorico in pazienti cirrotici spesso malnutriti. In tale area sono comprese anche le terapie di assistenza e di supporto a volte necessarie nelle forme avanzate di neoplasie epatiche primitive o metastatiche, soprattutto in caso di coinvolgimento peritoneale o osseo.

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