Le metastasi epatiche
Il tumore colo-rettale
Il tumore del colon-retto origina dalla parete del colon o intestino crasso, la parte finale del tubo digerente, deputata all’assorbimento di acqua ed elettroliti al fine di compattare le feci. La malattia, maggiormente diffusa in persone fra i 60 e i 75 anni di ambo i sessi, è il terzo più frequente tumore per incidenza dopo le neoplasie mammarie e polmonari.
Le metastasi epatiche da tumore del colon-retto
Le metastasi epatiche da carcinoma colo-rettale originano dall’impianto all’interno del fegato di cellule derivanti da un tumore primitivo del colon-retto. Possono essere presenti già al momento della prima diagnosi di tumore al colon oppure comparire a distanza di tempo dall’intervento sull’intestino. Esse costituiscono i tumori maligni del fegato di più frequente riscontro: circa il 20% dei pazienti colpiti da una neoplasia del colon-retto hanno metastasi epatiche alla prima diagnosi, mentre quasi il 50% può svilupparle dopo l’intervento sul tumore primitivo al colon.
La ragione della diffusione epatica da parte dei tumori colo-rettali sta nel fatto che il sangue venoso proveniente dall’apparato gastrointestinale viene veicolato verso il fegato per essere “filtrato” prima di essere re-immesso nel circolo sanguigno. Le cellule neoplastiche rilasciate in circolo dai tumori maligni dell’intestino vengono quindi bloccate nel fegato, dove si moltiplicano riproducendo il tumore da cui originano.
Diagnosi
Per la diagnosi è fondamentale procedere con esami radiologici come l’ecografia, la TAC e la risonanza magnetica, per vedere nel dettaglio le lesioni all’interno del fegato, valutarne la dimensione e chiarire la posizione rispetto alle varie strutture anatomiche dell’organo.
Fattori di rischio
Il rischio di tumore al colon-retto è associato a età e stile di vita poco sano. Fumo, obesità, sedentarietà, dieta ricca di grassi e proteine animali ne favoriscono l’insorgenza; un’alimentazione ricca di frutta e verdura sembra avere un ruolo protettivo.
Evoluzione della malattia e prognosi
La stadiazione del tumore ne definisce solitamente il grado di diffusione nell’organismo. Per le metastasi epatiche non esiste un vero e proprio sistema di stadiazione, in quanto la loro stessa presenza configura uno stadio avanzato (metastatico) del tumore primario.
Terapie
I recenti progressi nelle cure, sia chirurgici che oncologici, hanno rivoluzionato il trattamento delle metastasi epatiche da carcinoma colo-rettale. Oltre un terzo dei pazienti può oggi accedere a trattamenti con l’obiettivo di curare definitivamente la malattia.
Dopo le terapie
Dopo il completamento dei trattamenti chirurgici e chemioterapici si imposta un preciso programma di controlli periodici, per identificare la comparsa di possibili recidive del tumore, oltre che per trattare le complicanze insorte a seguito delle terapie effettuate.
Prevenzione
Oltre alla modifica dei fattori di rischio comportamentali, in questo tumore hanno una dimostrata efficacia i programmi di screening nazionale dedicati alla diagnosi precoce del tumore del colon-retto. Negli individui sopra i 50 anni di età, la ricerca del sangue occulto nelle feci e la colonscopia (un esame dell’interno dell’intestino raggiunto per tramite di uno strumento flessibile e di piccolo calibro dotato di una telecamera e di un video-registratore) sono in grado di identificare tumori in fase precoce, o lesioni pre-cancerose quali i polipi, che possono eventualmente essere rimossi. Un tumore diagnosticato nelle sue fasi iniziali ha molte meno probabilità di diffusione ad altri organi, e le possibilità di cura e guarigione aumentano notevolmente.
Per quanto riguarda le metastasi, più avanzato è lo stadio della malattia primitiva, maggiore è il rischio di sviluppare metastasi al fegato. Attualmente non esistono strategie di prevenzione tali da impedire ad un tumore di dare metastasi al fegato; la migliore prevenzione resta quindi l’identificazione precoce del tumore primitivo e, nei pazienti già operati per neoplasie del colon-retto, l’esecuzione di controlli regolari volti ad individuare per tempo eventuali recidive. Il rischio di sviluppare metastasi epatiche dopo l’intervento sul tumore primitivo al colon è massimo nei primi due anni, per poi decrescere progressivamente negli anni successivi.
Sintomi
Nella maggior parte dei casi i pazienti con metastasi epatiche sono asintomatici. I sintomi, quando presenti, sono spesso aspecifici: febbricola, stanchezza, scarso appetito, perdita di peso o dolenzia addominale. Nelle fasi avanzate di malattia, cioè quando le metastasi sono di grandi dimensioni e la gran parte del fegato risulta sostituita dal tumore, oppure quando una lesione ostruisce il deflusso della bile in uscita dal fegato, è possibile avvertire una massa palpabile o possono comparire sintomi quali ittero (colorazione giallastra della cute), dolore addominale e/o ascite (versamento liquido all’interno dell’addome).
La presenza di metastasi epatiche da tumore del colon-retto, essendo esse generalmente asintomatiche, può essere eveidenziata:
- nel corso degli accertamenti legati alla diagnosi di carcinoma del colon-retto: nel 20% dei casi le metastasi epatiche sono già presenti alla prima diagnosi (metastasi sincrone);
- nel corso dei controlli successivi ad un intervento di asportazione di un tumore del colon-retto: il 50% dei pazienti operati al colon sviluppa metastasi al fegato, solitamente entro i primi 3 anni (metastasi metacrone);
- come riscontro incidentale ad indagini radiologiche (ecografia o TAC dell’addome) eseguite per altra causa; in questo caso la diagnosi della malattia metastatica precede quella del tumore primitivo (metastasi sincrone).
Gli esami del sangue mirati alla funzionalità epatica hanno scarso significato, perché si alterano solo tardivamente. Un ruolo più significativo è rivestito dai marcatori tumorali (CEA e Ca19.9), i cui livelli nel sangue appaiono aumentati in oltre la metà dei pazienti affetti da neoplasie del colon-retto. Essi sono utili soprattutto nei controlli post-operatori; un loro incremento può infatti indicare una ripresa della malattia.
Per la diagnosi è fondamentale procedere con esami radiologici come l’ecografia, la TAC e la risonanza magnetica, che permettono di vedere nel dettaglio le lesioni all’interno del fegato, valutarne la dimensione e chiarire la posizione rispetto alle varie strutture anatomiche dell’organo. Nel caso di lesioni dubbie, può essere indicato eseguire la PET (un esame di medicina nucleare che sfrutta l’accelerato metabolismo delle lesioni tumorali), mentre la biopsia (il prelievo di un piccolo frammento della lesione con un ago) può consentire di effettuare test genetici e molecolari per accertare l’eventuale presenza nel tumore di molecole bersaglio per terapie mirate. Nonostante i notevoli progressi delle metodiche radiologiche, esistono ancora dei limiti tecnici nella diagnosi di metastasi superficiali o di piccole dimensioni. Per tale motivo, nel corso degli interventi di asportazione delle metastasi epatiche, viene sempre eseguita un’ecografia intra-operatoria (con una sonda appoggiata direttamente sull’organo) per definire il quadro con maggior dettaglio.
Il rischio di sviluppare un tumore del colon-retto è associato all’età e ad uno stile di vita poco sano. I fattori come fumo, obesità, sedentarietà ed una dieta ad alto contenuto di grassi e proteine animali possono favorirne l’insorgenza, mentre un’alimentazione ricca di frutta e verdura sembra avere un ruolo protettivo. Anche le malattie infiammatorie croniche intestinali (la rettocolite ulcerosa ed il morbo di Crohn) e l’aver avuto polipi del colon, sono fattori predisponenti al rischio di sviluppare un tumore colo-rettale. A questi si aggiungono anche condizioni di tipo genetico, che favoriscono la predisposizione ad ammalarsi di questa neoplasia: la probabilità aumenta di 2-3 volte nei parenti di primo grado di una persona con storia di cancro o di polipi del colon. Infine, il 10% dei tumori colo-rettali insorgono nel contesto di vere e proprie malattie ereditarie trasmesse da genitori portatori di specifiche alterazioni genetiche (poliposi adenomatose ereditarie e sindrome di Lynch).
La stadiazione del tumore ne definisce solitamente il grado di diffusione nell’organismo. Per le metastasi epatiche non esiste un vero e proprio sistema di stadiazione, in quanto la loro stessa presenza configura uno stadio avanzato (metastatico) del tumore primario. E’ importante comunque indagare la presenza di metastasi anche in altri distretti (ad esempio il polmone o le ossa) e precisare le caratteristiche delle metastasi presenti nel fegato (numero, dimensioni e sede delle lesioni e rapporti anatomici con i principali vasi sanguigni ed i rami biliari all’interno del fegato). L’evoluzione della malattia metastatica è influenzata da diversi fattori, tra cui la possibilità di asportarla mediante chirurgia e la risposta ai trattamenti non chirurgici come ad esempio la chemioterapia, l’immunoterapia, le procedure loco-regionali interventistiche etc.
I recenti progressi nelle cure, sia in ambito chirurgico che oncologico, hanno rivoluzionato il trattamento delle metastasi epatiche da carcinoma colo-rettale, divenuto sempre più curabile. Si stima che oltre un terzo dei pazienti possa oggi accedere a trattamenti con l’obiettivo di curare definitivamente la malattia. Questo dipende da molteplici fattori, tra i quali la diffusione della malattia all’interno del fegato (numero, dimensioni e sedi delle metastasi), la funzionalità del fegato nella sua globalità e le condizioni generali di salute del paziente.
Asportazione chirurgica e trattamenti loco-regionali
La chirurgia, che consente l’asportazione delle metastasi epatiche, rappresenta la migliore opzione terapeutica in ottica curativa. Data la ricca vascolarizzazione del fegato, che espone la chirurgia al rischio di emorragie anche gravi, e la necessità di una conoscenza approfondita dei dettagli anatomici dell’organo, la chirurgia epatica è una branca ad alta complessità. Questo tipo di interventi vanno pertanto eseguiti in centri specializzati, con una vasta esperienza anche nella gestione delle possibili complicanze. Gli obiettivi del trattamento chirurgico sono sia la radicalità nei confronti del tumore asportando porzioni di fegato più o meno estese, che la preservazione di una adeguata quota dell’organo per consentirne la funzionalità post-operatoria: la possibilità del trattamento chirurgico ed il tipo di intervento dipendono dal bilanciamento di queste due esigenze. Gli interventi possono quindi variare da asportazioni limitate (resezioni minori, singole o multiple) ad estese resezioni di un intero lobo o anche oltre (epatectomie maggiori), che possono comportare il sacrificio di gran parte del volume epatico (fino al 75% nel caso di un organo sano, percentuale da ridursi in caso di funzionalità ridotta o con esiti da cicli di chemioterapia). Ciò è possibile grazie alla capacità del fegato di rigenerarsi. In alcuni casi, tale caratteristica può essere sfruttata dai chirurghi per indurre, attraverso procedure radiologiche o chirurgiche che escludano l’apporto di sangue ad una regione del fegato, la ricrescita della parte “sana”, in modo da consentire una più sicura asportazione di quella “malata”.
Negli ultimi anni, anche nella chirurgia del fegato si è assistito ad un aumento dell’uso delle tecniche mini-invasive laparoscopiche. Al posto di come si procede nella chirurgia tradizionale, la laparoscopia prevede l’accesso alla cavità addominale mediante piccole incisioni della cute attraverso le quali passano una telecamera e gli strumenti necessari a condurre l’intervento. Il chirurgo visualizza il campo operatorio su un grande monitor ad alta definizione, che favorisce una migliore precisione dell’atto chirurgico. La minore invasività, con conseguente riduzione del trauma, consente un più rapido recupero post-operatorio, minori giorni di degenza, migliore qualità di vita nei giorni subito successivi, diminuzione del tasso di complicanze ed anche migliori risultati estetici.
Nei casi in cui le metastasi non possono essere asportate chirurgicamente, esiste la possibilità di trattamenti loco-regionali, finalizzati ad eliminare le cellule neoplastiche, come la termoablazione. Questa tecnica consiste nella somministrazione di calore all’interno delle lesioni tumorali attraverso un ago inserito nel fegato sotto guida ecografica. Essa può essere applicata sia chirurgicamente (anche in laparoscopia) che attraverso la cute in anestesia locale. Altre tecniche si avvalgono della somministrazione di chemioterapici direttamente nelle arterie che nutrono le lesioni, in modo da concentrare i farmaci nel solo tumore senza danneggiare altre aree dell’organismo.
Chemioterapia e terapie mirate
L’altro cardine del trattamento dei pazienti affetti da metastasi epatiche da tumore del colon-retto è rappresentato dalla chemioterapia, che somministrata per vena agisce in modo sistemico su tutto l’organismo, andando a colpire anche eventuali cellule tumorali in circolo o micro-localizzazioni neoplastiche in altri distretti. La combinazione di diversi farmaci consente oggi di ottenere “risposte”, cioè riduzioni significative della massa tumorale, nella grande maggioranza dei pazienti. La chemioterapia viene spesso associata alla chirurgia in trattamenti integrati sequenziali, in funzione dell’estensione del tumore e dell’efficacia osservata ai vari farmaci. Il fine è quello di ottenere la migliore “risposta” possibile in ogni singolo paziente (terapia personalizzata). La chemioterapia può essere utilizzata quindi prima dell’intervento chirurgico per ridurre la dimensione del tumore e facilitare il lavoro del chirurgo (chemioterapia neoadiuvante) o dopo l’intervento, per eliminare le eventuali cellule residue (chemioterapia adiuvante).
Grazie al costante apporto della ricerca e la comprensione sempre più approfondita dei meccanismi biologici del tumore, recentemente sono stati sviluppati i cosiddetti “farmaci intelligenti”, il cui bersaglio è costituito dalle alterazioni delle cellule tumorali provocate da alcune loro alterazioni genetiche. Numerosi farmaci di questo tipo, caratterizzati da bassa tossicità, sono in fase di studio e vengono somministrati nel nostro Istituto su indicazione del gruppo multidisciplinare sulle metastasi epatiche nell’ambito di protocolli approvati dalle Autorità Regolatorie competenti e dal Comitato Etico. Un approccio integrato, con la combinazione di trattamenti nuovi e convenzionali, è in grado di ottenere risposte significative, allargando la quota di pazienti che possono accedere a trattamenti chirurgici ad intento curativo.
Il trapianto di fegato
Non tutti i pazienti affetti da metastasi epatiche colo-rettali possono essere sottoposti ad una resezione chirurgica. Nei casi in cui la diffusione della malattia all’interno del fegato è tale da non consentire la rimozione delle metastasi, un’opzione attrattiva è rappresentata dal trapianto di fegato, che comporta la sostituzione dell’intero organo con uno prelevato da un donatore deceduto (vedi la scheda dedicata al trapianto di fegato). Ad oggi, tuttavia, nonostante la tecnica sia consolidata per malattie primitive del fegato, il trapianto non è un trattamento unanimemente accettato per i pazienti con metastasi da tumore del colon-retto. Diversi studi sono in corso per definire quali di questi pazienti possano effettivamente beneficiare dell’opzione trapianto. Uno di questi studi è attivo presso il nostro Gruppo multidisciplinare delle metastasi epatiche allargato agli specialisti che si occupano di trapianto. In questa specifica patologia si stanno elaborando Criteri di Milano dedicati, che possono fare da riferimento per i pazienti (al momento pochi) affetti da questa malattia in una forma che può beneficiare del trapianto.
Il fegato può essere coinvolto da metastasi di altri tumori diversi da quelli del colon-retto. Ciò avviene per tramite della diffusione al fegato di cellule neoplastiche provenienti in teoria da qualsiasi sede dell’organismo attraverso la circolazione sanguigna. Metastasi epatiche non colo-rettali si osservano frequentemente da tumori della mammella, del polmone, del pancreas, dello stomaco, dell’esofago, degli organi urogenitali, del distretto testa-collo e dai tumori della pelle (melanoma). Nella grande maggioranza dei casi le metastasi da tumori non colo-rettali sono curate in collaborazione con gli Specialisti delle singole sedi di origine della neoplasia metastatica. Molto più raramente che nel caso dei tumori metastatici da colon-retto, le metastasi da altri tipi di tumori sono oggetto di interventi chirurgici di asportazione. In molti di questi casi, infatti, il rapporto rischio-beneficio di un intervento chirurgico complesso è sfavorevole, e ciò comporta la più frequente indicazione a trattamenti di tipo non chirurgico (chemioterapia, immunoterapia, terapie a bersaglio molecolari).
Esistono tuttavia eccezioni a questa impostazione generale nel caso di metastasi limitate, ragionevolmente stabili durante le terapie con farmaci, in pazienti con accettabili condizioni generali. In tali casi la discussione collegiale con gli esperti delle singole patologie può portare alla decisione di rimuovere chirurgicamente la “malattia residua” dopo le terapie farmacologiche. Dal punto di vista tecnico e gestionale, ai pazienti così selezionati, si applicano gli stessi principi di lavoro descritti più sopra a proposito delle metastasi da tumore del colon-retto.
La recidiva della malattia, dopo un intervento chirurgico ad intento radicale per metastasi epatiche da tumore del colon, interessa oltre la metà dei pazienti. Sono spesso praticabili ulteriori trattamenti della recidiva e, laddove possibile, si possono effettuare altre resezioni chirurgiche delle lesioni, ottenendo risultati radicali sovrapponibili a quelli della prima resezione. Normalmente, dopo il completamento dei trattamenti chirurgici e chemioterapici ai quali è stato sottoposto il paziente, viene impostato un preciso programma di controlli periodici, per identificare tempestivamente la comparsa di possibili recidive del tumore, oltre che per valutare e trattare le complicanze, o gli effetti avversi, che sono insorti a seguito delle terapie effettuate, favorendo così il ritorno alla vita normale, grazie anche al supporto riabilitativo e psicologico.
Durante questi controlli si procede ad una revisione clinica della situazione, all’esame obiettivo del paziente, alla valutazione degli esami del sangue, comprensivi dei markers tumorali (CEA e Ca19.9), e degli esami strumentali quali TAC, RM (Risonanza Magnetica) e colonscopia.
Nei casi di malattia avanzata o non resecabile, il cardine del trattamento è la chemioterapia. Nei pazienti sintomatici, l’attivazione precoce delle cure simultanee permette una gestione multidisciplinare tra i diversi specialisti: oncologo, nutrizionista, palliativista e psicologo che si confrontano per la gestione dei sintomi e per individuare i bisogni del paziente e della famiglia in un’ottica di continuum terapeutico nei vari setting assistenziali (ambulatorio, day-hospital, reparti di degenza, hospice e cure palliative domiciliari) e nelle varie fasi evolutive della malattia.
Il gruppo di lavoro “Metastasi Epatiche” dell’Istituto dei Tumori di Milano e l’approccio multidisciplinare alle terapie
Le metastasi epatiche
Il team “Metastasi Epatiche” è un gruppo di professionisti di varia origine con competenze sia di gestione strategica complessiva sia tecniche, per la pianificazione e l’esecuzione di terapie o procedure da applicare nei diversi pazienti.
La strategia di cura viene definita al momento della diagnosi e rivalutata durante il corso dei trattamenti, attraverso discussioni collegiali che analizzano nello specifico ogni singolo caso. All’interno del gruppo di lavoro vengono definite la tipologia e la sequenza dei migliori trattamenti disponibili in relazione alla presentazione di ciascun caso. Ogni strategia decisa nel gruppo multidisciplinare viene poi discussa e valutata assieme al/alla paziente e ai suoi famigliari o amici in una logica di informazione e di attenzione alle esigenze ed alle aspettative di ciascuno.
Fanno stabilmente parte del team multidisciplinare “Metastasi Epatiche” dell’Istituto dei Tumori di Milano:
– il chirurgo epatico, esperto in interventi maggiori e minori sul fegato, compreso l’utilizzo di tecniche di ipertrofizzazione per incrementare le possibilità di una bonifica completa della malattia a livello del fegato, e delle tecniche laparoscopiche per minimizzare l’impatto della chirurgia;
– l’oncologo medico esperto sui vari farmaci in continua evoluzione anche sulla base delle caratteristiche molecolari specifiche delle cellule tumorali, oltre che dei farmaci sperimentali somministrabili solo all’interno di protocolli specifici;
– il radiologo interventista, figura essenziale nell’interpretazione delle immagini raccolte dalle varie indagini digitali (TAC, RMN, PET, ecografia etc.) per valutare la cosiddetta risposta alle cure. E’ anche la figura professionale che esegue le procedure di ipertrofizzazione del fegato residuo (embolizzazione portale) e le metodiche radiologiche interventistiche per la gestione delle complicanze pre e post-chirurgiche;
– l’anatomo-patologo che finalizza la diagnosi, definisce le caratteristiche prognostiche del tumore, interpreta le varie analisi molecolari sulle cellule tumorali e documenta la risposta ai trattamenti;
– l’endoscopista, che ha competenze specifiche nella gestione di alcune procedure pre-chirurgiche (ecoendoscopia) e post trattamenti soprattutto nell’ambito delle complicanze biliari;
– l’anestesista e il rianimatore con specifiche competenze di gestione peri-operatoria e di terapia intensiva. Il loro contributo è particolarmente importante nella gestione dei pazienti fragili e con molte co-mordidità;
– il cardiologo e il diabetologo, esperti nella gestione di problemi legati a problematiche metaboliche e cardio-vascolari che spesso si associano a quelle oncologiche;
– lo psicologo, spesso coinvolto nel supporto assistenziale sia ai pazienti che ai familiari;
– il medico di laboratorio con competenze specifiche di analisi dei campioni raccolti dai vari liquidi corporei nonché di forte aiuto al monitoraggio e trattamento delle infezioni.
Nonostante la malattia metastatica sia per definizione espressione di un “tumore diffuso” a distanza dall’organo di origine, è oggi possibile un approccio curativo. Benché il trattamento di questa malattia sia gravato da alte percentuali di ricaduta, un trattamento aggressivo delle recidive, ricorrendo a re-interventi chirurgici, può avere esiti curativi efficaci anche in casi difficili.