La gestione del tumore dell’intestino
L’intestino e le neoplasie che in esso hanno origine
L’intestino propriamente detto è un organo cavo di forma tubulare della lunghezza compresa tra 4 e 10 metri. Si tratta del settore dell’apparato digerente che viene dopo il duodeno e arriva sino al retto. Esso ha la funzione di proseguire la digestione degli alimenti iniziata nello stomaco e nel duodeno, assorbire le sostanze nutrienti introdotte con l’alimentazione ed eliminare i prodotti di scarto con le feci. L’intestino è costituito da due parti: l’intestino tenue, o piccolo intestino (digiuno ed ileo) e l’intestino crasso, o grosso intestino (colon destro o ascendente, colon trasverso, colon sinistro o discendente, sigma e retto, che termina nel canale anale).
Nell’intestino tenue si completa la digestione, iniziata nel cavo orale e proseguita nello stomaco, attraverso il fondamentale apporto dei succhi digestivi prodotti dalla stessa parete intestinale a cui si aggiungono la bile prodotta dal fegato e i succhi pancreatici prodotti dal pancreas. La funzione principale dell’intestino crasso è invece di riassorbire l’acqua per compattare le feci.
Tipi di tumore
Per tumore all’intestino si intende generalmente una neoplasia, ovvero una crescita di cellule maligne, che origina dalla mucosa che ne riveste la parete interna. La stragrande maggioranza dei tumori intestinali origina dalla mucosa che riveste l’intestino crasso (tumore del colon-retto) mentre molto più rari sono i tumori originati nell’intestino tenue (2-3% di tutti i tumori del tratto digerente). I tumori originati dalla mucosa intestinale sono detti adenocarcinomi. Essi rappresentano la stragrande maggioranza delle neoplasie intestinali che però annoverano anche forme rare originate dalle cellule delle tonache muscolari lisce e dalle strutture di sostegno della parete intestinale (i cosiddetti GIST, acronimo per Gastro-Instetinal Stromal Tumors, ovvero tumori gastrointestinali stromali) o da alcune cellule del sistema neuroendocrino che sono presenti diffusamente anche nell’intestino (vedi in questo sito il paragrafo dedicato specificamente ai tumori neuroendocrini).
Il tumore del colon e del retto (che è l’ultima parte del colon) è invece quasi sempre un adenocarcinoma e interessa più frequentemente il sigma e il retto (50% dei casi), il colon ascendente trasverso e discendente sono un poco meno frequenti e rappresentano ciascuno circa il 20% del totale delle diagnosi di tumore del colon.
Il tumore del colon -retto è una neoplasia assai frequente: rappresenta il terzo tumore più frequente (preceduto dal tumore polmonare e da quello mammario) ed è globalmente la seconda causa di morte per tumore nel mondo, dopo il tumore del polmone.
Se diagnosticato precocemente, il tumore del colon-retto è guaribile in alta percentuale.
Il tumore del colon-retto viene diagnosticato con maggiore frequenza nella popolazione di età compresa fra i 60 ed i 75 anni, con incidenza simile fra uomini e donne, mentre è raro osservarla in soggetti di età inferiore ai 40 anni. Grazie ai programmi di screening di popolazione, con il test della ricerca di sangue occulto nelle feci e con la colonscopia, l’incidenza delle forme più avanzate di tumore del colon-retto è in diminuzione, anche se dati recenti dimostrano un incremento dei casi in persone di età inferiore a 50 anni, generalmente non coinvolte dai programmi di screening precoce.
In una percentuale bassa ma costante di casi il tumore del colon-retto ha una causa genetica e/o famigliare mentre la stragrande maggioranza dei nuovi casi è di tipo “sporadico” cioè priva di evidenti familiarità o malattie genetiche predisponenti.
La maggior parte dei tumori del colon-retto deriva dalla trasformazione maligna di polipi, cioè di proliferazioni inizialmente benigne delle cellule della mucosa del colon (adenomi); i polipi o adenomi sono macroscopicamente di 2 tipi: sessili, cioè con base piatta, o peduncolati, cioè protrudenti come un fungo dalla parete intestinale a cui rimangono connessi da una sorta di gambo. Il tipo, la sede, l’estensione e il numero di polipi presenti nell’intestino dei pazienti a rischio di tumore del colon-retto vengono in genere molto ben definiti dalla colonscopia. I polipi quindi, pur essendo benigni nella stragrande maggioranza dei casi devono essere considerati delle neoformazioni precancerose che in piccola percentuale tendono a trasformarsi in tumori maligni (adenocarcinomi); il rischio di degenerazione di un polipo del colon è legato alle sue dimensioni, al numero ed alla presenza di aree displasiche sulla sua superficie, ovvero in relazione alla presenza di cellule con aspetto di inziale degenerazione, cioè di aspetto non ancora neoplastico ma al tempo stesso non più definibile come normale.
Diagnosi
Il sospetto diagnostico nasce da un’accurata valutazione dei sintomi del paziente e della sua storia clinica personale e familiare. La visita, con la palpazione dell’addome, del fegato e delle stazioni linfonodali, è fonte di preziose informazioni, perché consente di valutare la presenza di un quadro occlusivo o di segni di diffusione metastatica al fegato o ad altri organi.
Fattori di rischio
I più rilevanti sono legati all’alimentazione, a fattori genetici ed a condizioni individuali non ereditarie predisponenti. Tale tumore colpisce più frequentemente i soggetti obesi o in sovrappeso, con uno stile di vita sedentario. La dieta però non è mai l’unica causa di questa neoplasia; essa, associata ad altre condizioni, può contribuire al suo sviluppo.
Evoluzione della malattia e prognosi
Grazie ad una diagnosi precoce ottenuta con i programmi di screening, a migliori terapie chirurgiche ed oncologiche, alla loro integrazione in protocolli multidisciplinari e ad una più approfondita conoscenza biologica del tumore, la mortalità è in calo.
La prognosi dipende principalmente dallo stadio della malattia, cioè da quanto il quadro è avanzato.
Terapie
La scelta del trattamento più adatto dipende dallo stadio della malattia e da fattori legati al paziente (età, condizioni generali, patologie associate etc.). Il trattamento per i casi in stadio precoce o localmente avanzati, cioè privi di metastasi a distanza, è la rimozione chirurgica del tumore; in base alla sua localizzazione ed all’estensione si sceglie il tipo di intervento.
Dopo le terapie
Dopo l’intervento al colon la porzione rimanente si adatta nel tempo alla perdita di un tratto del viscere e sopperisce alle funzioni della parte asportata; dopo la resezione del retto, vi è una tendenza a perdere la funzione naturale del retto stesso, che è quella di accumulare le feci prima dell’evacuazione, che comporta modifiche anche significative delle normali abitudini di evacuazione
Prevenzione
La principale misura di prevenzione disponibile per il tumore del colon-retto è costituita dai programmi di screening nazionale, che per questa neoplasia permettono non solo una diagnosi precoce del tumore con ottime possibilità di guarigione dopo il trattamento, ma anche una vera prevenzione, con l’identificazione e l’asportazione dei polipi dai quali queste neoplasie hanno origine. Lo screening, rivolto a tutti gli individui tra i 50 e i 74 anni, viene effettuato attraverso la ricerca del sangue occulto nelle feci (SOF) ogni 2 anni. La positività a tale ricerca, indice di possibile presenza di un polipo o di un tumore, va indagata ulteriormente con la colonscopia, un esame del colon-retto che si effettua con un sottile tubo flessibile dotato di telecamera inserito per via trans-anale allo scopo di osservare le pareti del viscere, identificare le formazioni presenti ed anche rimuovere eventuali polipi. Sebbene i programmi di screening siano molto efficaci, essi devono essere sempre affiancati da altre misure preventive o sullo stile di vita, in particolare una dieta sana, povera di grassi e carne e ricca di fibre vegetali e frutta, l’attività fisica e l’astensione dal fumo.
Nei soggetti ad alto rischio, ad esempio per familiarità, oltre alle succitate misure generiche, sono opportune anche strategie di prevenzione personalizzate, che di solito consistono nell’esecuzione di una colonscopia in età relativamente giovane (10 anni prima dell’età di insorgenza del tumore nel membro più giovane della famiglia affetta) e nell’esecuzione di analisi genetiche presso Centri adeguati. In Istituto Nazionale Tumori di Milano è presente un Registro dei Tumori Intestinali ereditari con relativo counselling genetico, ricostruzione degli alberi genealogici e impostazione della sorveglianza sistematica nei membri delle famiglie registrate e giudicate a rischio genetico.
Sintomi
I tumori in fase precoce e le lesioni pre-neoplastiche (i polipi) sono asintomatici nella maggior parte dei casi. A volte la loro presenza nella parete del colon può associarsi a modeste perdite di sangue, che sebbene siano clinicamente poco rilevanti possono essere trovate nelle feci con la ricerca del cosiddetto “sangue occulto”. È meno frequente il sanguinamento diretto, con l’emissione di sangue visibile in quantità rilevanti e frammisto a feci dal retto.
La sintomatologia compare spesso nei casi di neoplasia in stadio avanzato, anche se essa è aspecifica e sovrapponibile a quella di altre malattie addominali o intestinali. I sintomi dipendono infatti essenzialmente dalla sede del tumore, dalla presenza di emorragie o di ostruzione del lume intestinale e dallo stadio (cioè dall’estensione locale e dalla presenza di metastasi a distanza). Tra i sintomi precoci, vaghi e saltuari, i più frequenti sono la stanchezza, l’inappetenza ed il calo di peso, mentre manifestazioni più gravi e specifiche come l’anemia, la proctorragia (perdita di sangue rosso dal retto) e l’occlusione intestinale sono proprie delle neoplasie in stadio più avanzato. Altri sintomi non specifici ma che possono destare il sospetto di un tumore del colon-retto e non andrebbero pertanto mai trascurati, sono i cambiamenti nell’alvo e nella forma delle feci (che possono ad esempio essere nastriformi nelle neoplasie del retto), la stitichezza ostinata e la diarrea persistente e di nuova insorgenza.
Come sempre, il sospetto diagnostico nasce da un’accurata revisione da parte del medico dei sintomi riferiti dal paziente e della sua storia clinica personale e familiare. Il momento della visita, con la palpazione dell’addome, del fegato e delle stazioni linfonodali, è fonte di preziose informazioni, perché consente di identificare l’eventuale presenza di una massa addominale, di un quadro occlusivo o di segni di diffusione metastatica al fegato o ad altri organi. L’esplorazione rettale digitale permette di diagnosticare direttamente le neoplasie della parte inferiore del retto o di ottenere un’evidenza diretta di perdite di sangue. Le campagne di screening sulla popolazione generale portano oggi a diagnosticare un tumore del colon-retto sempre più precocemente, prima della comparsa di qualsiasi sintomo, ed una quota rilevante di diagnosi avviene grazie a queste campagne di sensibilizzazione.
Il cardine della diagnosi di un tumore del colon-retto è la colonscopia, che visualizza direttamente il tumore, ne definisce le caratteristiche e permette di prelevare un frammento del tessuto neoplastico (biopsia). Solo l’analisi istologica della biopsia porta ad ottenere una diagnosi di certezza, oltre che a definire il tipo di tumore ed il grado di differenziazione.
Gli esami ematochimici identificano la presenza di anemia dovuta al sanguinamento o altre turbe metaboliche degli elettroliti nei casi di occlusione; la ricerca nel sangue del marcatore tumorale carcino-embrionario (CEA) ha inoltre un impatto prognostico e la variazione del suo valore nel tempo è importante per seguire l’andamento della situazione oncologica dopo i trattamenti.
A seguito di diagnosi di tumore colo-rettale è necessario completare gli accertamenti con la stadiazione, che consiste nell’esecuzione di una tomografia assiale computerizzata (TAC) o di una risonanza magnetica nucleare (RMN), per definire l’estensione della malattia, il coinvolgimento dei linfonodi e la presenza di metastasi a distanza. Nei casi di tumore del retto la RMN e l’ecoendoscopia aiutano a determinare con precisione l’estensione del tumore all’interno della pelvi, la presenza di linfonodi coinvolti ed i rapporti della neoplasia con l’apparato sfinteriale, tutti fattori per porre l’indicazione ad una eventuale chemio e/o radio-terapia preoperatoria.
Infine, l’analisi del profilo molecolare del tumore, ossia delle alterazioni genetiche presenti nelle cellule neoplastiche eseguita sulle biopsie del tumore, è importante per dare indicazioni prognostiche e per orientare i trattamenti chemioterapici, con studi di sensibilità ai farmaci o mediante l’uso di farmaci immunoterapici o target (anche detti “famaci intelligenti”) rivolti contro tali alterazioni.
I fattori di rischio più rilevanti per il tumore del colon-retto sono legati all’alimentazione, a fattori genetici ed a condizioni individuali non ereditarie predisponenti.
Una dieta ricca di grassi saturi, zuccheri raffinati e proteine animali è associata allo sviluppo di cancro del colon-retto; tale tumore colpisce più frequentemente i soggetti obesi o in sovrappeso, che conducono uno stile di vita sedentario. Al contrario, le fibre vegetali, in particolare quelle che non vengono digerite come la crusca e la frutta hanno un ruolo preventivo. La dieta però non è mai l’unica causa di questo tumore; essa, associata ad altri fattori, può contribuire al suo sviluppo.
La familiarità per tumore del colon-retto (presenza di uno o più casi nei parenti di primo grado, soprattutto con diagnosi al di sotto dei 60 anni) è nota condizione di rischio. Al di là della generica predisposizione familiare, nel 10% dei casi questa neoplasia si sviluppa nel contesto di vere e proprie sindromi ereditarie (quali la poliposi adenomatosa familiare (FAP), la sindrome di Gardner e il cancro colo-rettale ereditario non poliposico (o sindrome di Lynch), legate a specifiche alterazioni genetiche che, pur essendo del tutto asintomatiche, portano allo sviluppo del tumore in età precoce, con una probabilità del 50% di trasmissione del gene mutato ai figli.
Tra i fattori non ereditari, i più significativi sono l’età (come detto l’incidenza aumenta al di sopra dei 60 anni con un picco sopra i 70) ed il fumo. Vi sono poi le malattie infiammatorie croniche intestinali (rettocolite ulcerosa e morbo di Crohn), che a causa delle alterazioni arrecate da una risposta immunitaria contro le pareti intestinali, inducono alla lunga trasformazioni maligne. Infine, i soggetti con una storia personale di polipi del colon o con un pregresso tumore del colon-retto sono più a rischio di sviluppare un ulteriore tumore.
Grazie ad una diagnosi sempre più precoce ottenuta in larga misura con i programmi di screening, al miglioramento delle terapie chirurgiche ed oncologiche, all’integrazione di tali terapie in protocolli multidisciplinari e ad una più approfondita conoscenza biologica della malattia, la mortalità per il cancro del colon-retto è in calo. La prognosi dipende principalmente dallo stadio della malattia, cioè da quanto il quadro è avanzato.
Il sistema TNM, il più utilizzato per la stadiazione del tumore del colon-retto, prevede la definizione di 3 parametri fondamentali (T per il tumore primitivo, sulla base del grado di infiltrazione delle pareti del viscere, N per la diffusione linfonodale, sulla base del numero di linfonodi coinvolti e M per la presenza di metastasi a distanza), che determinano la prognosi e orientano il percorso terapeutico. Anche i livelli nel sangue del marcatore tumorale CEA (antigene carcino-embrionario), ed in misura minore del marcatore Ca19.9, hanno un ruolo nella valutazione della gravità della malattia e della prognosi, in quanto sono legati all’estensione del tumore, e consentono di seguire l’evoluzione della malattia nel tempo. Il livello del marcatore CEA è anche utile per monitorare la risposta al trattamento farmacologico (scende infatti se la chemioterapia è efficace) o per verificare la ripresa della malattia (risale in caso di ricadute). Anche la eleggibilità dei pazienti a diverse terapie influenza la prognosi: ad esempio, i pazienti in cui il tumore è rimuovibile hanno aspettative di sopravvivenza superiori a coloro in cui la neoplasia non è asportabile. In questi ultimi, a loro volta chi “risponde” alla prima linea di chemioterapia ha più probabilità di sopravvivenza di chi è costretto a una seconda o terza linea di farmaci. Ed è favorito nella prognosi chi può essere riportato alla operabilità di chi invece deve continuare solo il trattamento con farmaci.
La scelta della strategia di trattamento più adatta dipende dallo stadio della malattia e da fattori legati al paziente (età, condizioni generali, patologie associate etc.).
Il cardine del trattamento per i casi in stadio precoce o localmente avanzati, cioè privi di metastasi a distanza, è la asportazione chirurgica del tumore; in base alla localizzazione ed all’estensione del carcinoma colo-rettale viene definito il tipo di intervento.
Gli interventi eseguiti più di frequente sono quelli di asportazione parziale del colon (emicolectomie destra, sinistra o del trasverso) e di resezione del retto. Raramente, in presenza di sindromi genetiche o di tumori in più sedi, si rende necessaria l’asportazione totale del colon (colectomia totale) ed eventualmente anche del retto.
Nei tumori del retto localmente invasivi, che sono più soggetti a possibili recidive locali dopo la chirurgia, è indicata l’esecuzione di un trattamento chemio-radioterapico prima dell’intervento chirurgico (chemio-radioterapia neoadiuvante), per ridurre il rischio che la malattia si ripresenti localmente e, nei tumori che interessano l’apparato sfinteriale dell’ano, per incrementare le possibilità di una chirurgia conservativa che eviti la demolizione completa dell’ano e la conseguente creazione di una stomia definitiva (cioè l’abboccamento dell’intestino alla parete addominale per la raccolta delle feci in appositi sacchetti applicati sull’addome).
Nei casi di tumori del colon-retto in stadio precoce l’intervento chirurgico è curativo e non sono necessari ulteriori trattamenti. Nei casi di tumori localmente avanzati, cioè quando è presente infiltrazione della parete del viscere in profondità o una diffusione della malattia ai linfonodi regionali, l’aggiunta della chemioterapia post-operatoria (cosiddetta adiuvante) riduce il rischio di recidiva della malattia.
Quando sono presenti metastasi a distanza, il fegato è l’organo più frequentemente coinvolto, seguito dal polmone. All’ampio settore delle metastasi epatiche da tumore del colon-retto è dedicato un paragrafo specifico di questo sito.
In questi casi è sempre necessaria l’impostazione di una chemioterapia. Se le metastasi riguardano solo il fegato, sono possibili approcci chirurgici radicali ad intento curativo. Anche le metastasi polmonari possono essere asportate chirurgicamente, con miglioramento della prognosi rispetto alla sola chemioterapia.
Nei casi di metastasi epatiche non resecabili o di diffusione della malattia a plurimi distretti, la chemioterapia resta la sola arma terapeutica. In questo contesto, l’analisi molecolare del tumore ha aperto negli ultimi anni nuovi scenari terapeutici, mettendo a disposizione interventi mirati con farmaci biologici, caratterizzati da bersagli molecolari sulla base delle caratteristiche genetiche del singolo tumore. In anni ancora più recenti anche l’immunoterapia, che utilizza farmaci che stimolano il sistema immunitario a reagire contro il tumore, ha assunto un ruolo importante e si è aggiunta alle opzioni di trattamento disponibili per il tumore del colon-retto, soprattutto nei casi in cui sono presenti particolari caratteristiche molecolari (in particolare la cosiddetta “instabilità dei microsatelliti” abbreviata con la sigla MSI).
Dopo gli interventi di resezione del colon la porzione rimanente di colon si adatta nel tempo alla perdita di un tratto del viscere e sopperisce alle funzioni della parte asportata; non sono in genere necessarie modifiche nelle abitudini alimentari e, sebbene in alcuni casi (soprattutto nelle colectomie subtotali) si verifichi una transitoria diarrea, i pazienti tornano ad una normale funzione intestinale.
Dopo gli interventi di resezione del retto, specie nei casi di resezione “bassa” ovvero molto vicini al canale anale, vi è una tendenza a perdere la funzione naturale del retto stesso, che è quella di accumulare le feci prima dell’evacuazione. Ciò comporta modifiche anche significative delle normali abitudini di evacuazione che divengono più numerose nell’arco della giornata. In questi casi si imposta un programma riabilitativo che aiuti i pazienti a convivere con la nuova condizione, arrivando spesso a un progressivo adattamento.
In caso di necessità di stomie (spesso temporanee e qualche volta permanenti) è spesso richiesto l’intervento assistenziale di enterostomisti ovvero di personale sanitario specializzato nell’educazione e nella gestione di questi presidi.
In molti casi, un nutrizionista può aiutare nell’educazione alimentare del paziente e nella correzione di eventuali deficit nutrizionali.
Qualunque sia l’intervento e/o la cura non-chirurgica farmacologica praticata, dopo il completamento delle terapie viene impostato un programma di controlli periodici con i seguenti obiettivi:
- identificare precocemente un’eventuale recidiva del tumore;
- valutare e trattare le possibili complicanze o effetti avversi delle terapie;
- fornire supporto riabilitativo e psicologico per facilitare il ritorno alla vita normale.
Nel corso dei controlli si procede alla revisione clinica del caso, all’esame obiettivo, alla valutazione degli esami del sangue comprensivi dei markers tumorali (CEA e Ca19.9) e degli esami strumentali (es. TAC, colonscopia, PET).
La gestione del tumore dell’intestino
Intestino
Il tumore del colon è, come si è detto, una patologia estremamente comune la cui terapia convenzionale è praticata di routine in moltissimi Ospedali del territorio.
Il nostro gruppo di diagnosi e terapia si occupa principalmente degli stadi di tumore del colon in cui si siano sviluppate metastasi epatiche. Tale condizione di malattia, molto frequente nella storia naturale del tumore del colon ha necessità di approcci di cura molto sofisticati che devono esser ricercati in Centri adeguati con alti volumi di attività. Come descritto nella sezione di questo sito dedicata a questo argomento le metastasi epatiche da tumore del colon-retto hanno molte e articolate forme di controllo e sempre maggiori prospettive di guarigione.
All’interno dell’Istituto Nazionale Tumori esistono comunque tutte le competenze per la gestione chirurgica e oncologica dei tumori di colon e retto in qualsiasi stadio essi vengano diagnosticati.
Il nostro gruppo di lavoro fa parte del gruppo multidisciplinare di diagnosi e trattamento del tumore del colon retto, con la specifica competenza sugli stadi IV di malattia, ovvero nell’area della malattia metastatica.
Come negli altri gruppi multidisciplinari a cui si fa riferimento in altre parti di questo sito riferita a ciascun tipo di tumore o di organo coinvolto (vedi le singole sezioni), i tumori del colon-retto, del piccolo intestino, dell’area delle neoplasie neuroendocrine e delle fasi metastatiche sono affrontati e discussi da specifici gruppi di professionisti con competenze diverse nella gestione delle varie terapie o procedure da applicare ai singoli pazienti, dopo adeguata discussione collegiale. In questo processo, oltre allo stadio di malattia e alle sue caratteristiche è sempre valutata la condizione generale con cui il paziente si presenta, le sue co-morbidità, le sue esigenze e la necessità di preservare la migliore qualità e quantità di vita. Come descritto per altre patologie, anche per questo tipo di tumore ogni strategia decisa viene discussa e valutata assieme al/alla paziente e ai suoi famigliari in una logica di informazione e di attenzione alle esigenze ed alle aspettative di ciascuno.